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L'amore è una cosa semplice ma non facile


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"diario personale" Category

«IO NON HO PAURA DI TE»


 13 Set 2016   Scritto da Nunzia

Mi soffermo sempre ad osservare gli altri, a chiedermi cosa stiano pensando, cosa provino, ad immaginare le loro vite. Si amano? Ma in fondo l’amore cos’è? Si vogliono bene? Cosa vuol dire volersi bene? Poi mi dico che siamo tutti specchi, gli uni gli altri, e che cerco di trovare altrove quello che in me non vedo più o cerco di lasciar andare ciò che a me non appartiene più ma che per narcisismo tendo a trattenere. Nonostante faccia male, o nonostante mi renda felice, a seconda dei casi.
Nonostante.


Ed allora un sorriso nasce sulle mie labbra e penso che dovremmo tenerci strette quelle persone che conoscono esattamente le nostre paure e i nostri pensieri remoti, quelli che nascondiamo in una stanza buia del cuore, teniamoci strette quelle persone che conoscono ciò che desideriamo e anche ciò che ci inquieta e, nonostante tutto, restano. Quelle persone che di noi non hanno paura, anche se non siamo la loro comfort-zone. “IO NON HO PAURA DI TE” è la più bella dichiarazione d’amore, vuol dire “so che puoi ferirmi, so che potresti spezzettarmi il cuore, ma devo correre il rischio. Voglio correre il rischio, lasciamelo fare”.

“Io non ho paura di te” è CONSAPEVOLEZZA: potrebbe essere un massacro oppure potrebbe accadere la Vita, che meravigliosa fiorisce laddove la paura aveva piantato il suo seme. Teniamoci strette quelle persone con cui pranzare alle 16:00 del pomeriggio perché magari prima si è fatto l’amore. E lo si è rifatto. Quelle persone che ci saziano l’anima, il cuore, la mente. Che ci proteggono, a modo loro, nonostante siano per noi il coltello. Teniamole strette, legamole ai polsi, come un sigillo, o con un laccio sul cuore.🎈

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“Vita sufficiente” o tutto il peso dei 21 grammi?


 04 Lug 2016   Scritto da Nunzia

Un lunedì illuminante. Sveglia lenta nonostante le mille cose da fare, la moka piuttosto che la Nespresso, per gustare la bellezza dei gesti lenti. Camicia sbottonata, scalza, il vento fresco di una mattina d’estate a Milano che mattina d’estate non sembra.

Riflettevo sul valore che diamo alle cose, alle persone. In un tempo in cui conosciamo il valore di tutto, in cui (quasi) tutto è sostituibile, che valore diamo a ciò che non può essere acquistato, quindi sostituito? A ciò che non può essere riparato? Che valore diamo a quei 21 grammi d’anima? (Conoscete la teoria del Dott. MacDougall? Il medico, confrontando i suoi risultati con quelli di suoi cinque colleghi, riscontrò che immediatamente dopo la morte il peso del corpo umano cala esattamente di 21 grammi, come se – esalando l’ultimo respiro – qualcosa abbandonasse velocemente il corpo).

 

Il peso dei nostri giorni, della nostra felicità, dell’amore dato e di quello ricevuto, del nostro dolore, è tutto lì, in quei 21 grammi. Ci affatichiamo per la carriera, per le scadenze, per le consegne, … e dimentichiamo che senza i brividi lungo la schiena è tutto inutile. Anzi, non è inutile: è sufficiente. Una “vita sufficiente”, come un sei sul registro, quel tanto che basta per restare sulla superficie delle cose: abbastanza per non andare in apnea, abbastanza per dirsi che può anche andare bene così.

“La comfort zone”.

E tu, cosa scegli? Una vita sufficiente o di sentire tutto il peso dei tuoi 21 grammi di anima?

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L’amore non sempre è un fatto di felicità, ma anche di possibilità


 28 Giu 2016   Scritto da Nunzia

Amori incompiuti, è così che li chiamo. Quelli che ti trovano e ti raggiungono come un dono inaspettato ma che devi lasciare andare. Amori silenziosi, totalizzanti, che non hanno la possibilità di stare insieme. E’ assurdo, penserete. Sì, lo è, vi risponderò. Eppure esistono, e muovono il mondo, le stelle, l’universo. Senso di abbandono, riconoscimento, paura, gratitudine, passione irresistibile, sconvolgente bellezza, due occhi che diventano il precipizio su cui si affaccia la tua vita e tu vorresti lanciarti e lasciarti salvare ma sai che prima dovresti salvare l’altro/a quindi nessuno dei due supera quel limite oltre il quale ogni respiro, ogni pensiero, ogni battito diventerebbe “sempre e per sempre”. Per proteggersi, per proteggere il proprio, fragile, cuore. Sapete, è incredibile questa cosa: un amore che non può essere amato, un amore incondizionato che arriva dalla persona che potrebbe ferirci più di chiunque altro al mondo e curare le nostre ferite meglio di chiunque altro al mondo. Dolore e felicità possono essere due facce dello stesso, totalizzante, sentimento? Così, per non ferirsi ci si ferisce di più, per non amarsi ci si ama di più.

Il mondo, poi, va avanti senza darsi pena di questi cuori tormentati, le stagioni passano, la primavera diventa estate e perfino loro due continueranno a vivere come hanno sempre vissuto, anche se tutto, dentro, non è più come prima. Nulla è più come prima di aver incontrato quegli occhi, “due occhi per niente pieni di sé ma pieni di te”. Ci si continua a cercare con un velo di tristezza trasognata, senza mai smettere di sentirsi come quella scena in cui Meredith si dichiara a Derek dicendogli “Prendi me, scegli me, ama me”. Un amore che da solo basterebbe per illuminare il mondo intero e volare in alto fino alle stelle ma che invece ripiega le ali. Due destini che si uniscono restando divisi e che, allo stesso tempo, non si abbandoneranno mai.

L’amore non sempre è un fatto di felicità, ma anche di possibilità.

“Gli amori impossibili non finiscono mai, sono quelli che durano per sempre.” Dal film Mine vaganti, regia di Ferzan Özpetek.

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Kintsugi: prendersi cura dei tagli e del dolore


 15 Giu 2016   Scritto da Nunzia

Stasera riflettevo su un aspetto meraviglioso della vita: quello che fa dell’errore un’opportunità, della fine un inizio, dell’imperfezione una virtù.A Levante, in quelle terre che amo a Est del mondo, una tecnica chiamata “Kintsugi” insegna a prendersi cura delle imperfezioni e dei mutamenti, ad evidenziare gli errori elevandoli ad esperienze, concentrandosi più sugli insegnamenti che su inutili giudizi dati a posteriori. È per questo che accarezziamo le cicatrici di chi amiamo: è lì la bellezza, l’unicità. 


 Lì, nel mio adorato Oriente, colano oro nei vasi rotti, per ripararli, dandogli non solo una rinnovata vita ma anche un valore aggiunto. Dovremmo imparare a vivere così, a riempire d’oro le nostre cicatrici facendole diventare la nostra parte migliore, quella da accarezzare proprio come facciamo con chi amiamo. Imparare ad essere indulgenti con se stessi è difficile ma è solo così, con l’Amore che riempie e mai toglie, che ci si può riuscire: prendendosi cura dei tagli che la vita, per sua natura, ci lascia lungo il cammino. Accettando ogni caduta come un dono, ricordandoci sempre che – qualsiasi cosa accada – possiamo ricominciare partendo da noi. Dalla nostra stessa pelle che emana luce attraverso i tagli. 

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Respirare con la pancia


 16 Mag 2016   Scritto da Nunzia

Ieri è stata una giornata impegnativa, molto impegnativa. Un gelato fragola-e-pistacchio che mi ha ricordato che mentre io ero impegnata a diventare grande i miei genitori invecchiavano, il cuore di un ragazzo impaurito che sceglie di chiudersi a chiave dall’interno piuttosto che amare e lasciarsi amare, un incidente stradale lungo la tratta Pescara-Fano che mi ha ricordato la fugacità e preziosità della nostra vita terrena, un’anam cara da accompagnare per mano nel suo smarrimento tra dubbi e domande.

Siamo tutti al mondo per splendere, per illuminare il cammino delle persone che amiamo e quello di chiunque incroci la nostra strada ma ci sono alcuni giorni in cui sento il cuore scricchiolare, faticare nel tenere insieme i pezzi e ieri è stato uno di quelli. Leonard Cohen ha scritto che “c’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce”: ieri è entrata così tanta luce da far male.

L’immagine di quella moto in pezzi lì, sull’asfalto, dell’ambulanza, della polizia, … mi ha squarciato i pensieri come un vetro rotto. Sliding doors: mentre tu procedi lungo la tua corsia, sulla corsia opposta vedi lottare un ragazzo per sopravvivere e capisci che non siamo infiniti. Siamo qui, oggi, adesso e la decisione migliore che possiamo prendere ogni mattina è quella di respirare con la pancia, lanciarci sfidando la vertigine, abbracciare un amico, dedicargli il nostro tempo nonostante gli impegni, prenderlo per mano e dirgli di non avere paura, amare i nostri genitori, rispettare la vita che ci è stata concessa in dono, amare irrefrenabilmente.

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Oggi sono un po’ più consapevole. E probabilmente lo sarò meno di domani.

Chiamate, chi amate.

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Stanotte ho fatto un sogno. Poi ho pensato a Frida Kahlo


 12 Mag 2016   Scritto da Nunzia

Stanotte ho fatto un sogno, uno di quei sogni strani che arrivano in dormiveglia, quando non si è del tutto dormienti e neppure del tutto coscienti. Un sogno strano, che mi ha svegliato e fatto riflettere nel cuore della notte. Ho sognato di essere ad una fermata ad aspettare che arrivasse l’autobus ed ero parecchio impaziente che arrivasse. Nel frattempo ingannavo il tempo chiacchierando con persone che passavano di lì e che conoscevo. L’autobus arriva ma le porte non si aprono. Guardo l’autista, lui guarda me, entrambi aspettiamo un cenno dell’altro ma questo cenno non arriva e così l’autobus riparte ed io resto lì, immobile, a chiedermi il motivo per cui non ho chiesto di aprire. Nel sogno mi sono appoggiata ad una parete ed ho iniziato a riflettere sul fatto che a volte ci aspettiamo sempre che arrivi un cenno dall’altro lato, dall’altra persona, mentre noi siamo lì, fermi ed apatici.

Perdiamo autobus, passano giorni, mesi e la vita scorre…

Mi sono svegliata e, nel cuore della notte, ho iniziato a volare con la fantasia e mi è venuta in mente la mia amata Frida Kahlo. Non chiedetemi come sia possibile passare dal sognare di perdere un autobus a fare un’associazione di pensiero con Frida Kahlo. Ma, tant’è. La mia mente ama i voli pindarici.

Ho pensato che dovremmo imparare tanto da lei, che lei quell’autobus non lo avrebbe perso mai anche a costo di rincorrerlo, anche con il dolore fisico lancinante che spesso l’ha accompagnata lungo il cammino della vita. Lei ignorava le regole, tutte le regole e in particolare le regole dei sentimenti e ignorava il buon senso. Ignorava i “se”, i “ma”, i “vorrei”. Tutto quello che voleva lo ha ottenuto, in particolare il più grande amore della sua vita: Diego Rivera, un grande amatore, uno di quegli uomini che amano tutte ma tornano sempre a casa dalla stessa donna, uno di quegli uomini appassionanti ed appassionati per cui è facile perdere la testa…e il cuore.

Lei lo voleva. Lo ha avuto. Nonostante tutti i drammi e i dolori che caratterizzano gli amori travolgenti. Nonostante l’anima lacerata ed il cuore a brandelli: lui era per lei respiro, vita.

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Lui si è innamorato di quella piccola donna fatta di meraviglie ed incantesimi, fino a sposarla. Frida è diventata sua moglie ma Diego non è riuscito ad esserle fedele. Ed anche lei ha provato a far lo stesso, regalandosi nei letti degli illuminati del tempo,  mentre in cuor suo sperava di poter un giorno essere la sola ed unica per Lui, per quell’uomo che le toglieva e le restituiva il respiro ogni notte ed ogni giorno. Un’altalena assurda tra amore dirompente e disperazione, tra addii e ritorni. Frida disegnava Diego come una parte di sé, raccontava quell’amore attraverso le lacrime sulle tele colorate, sulle pareti, sulla sua pelle.

Frida guardava la vita in modo sfacciato, come un toro in un’arena che sfida la muleta di un torero ma non abbandonando mai la delicatezza di una madre, lei che madre ha sempre sognato di diventarlo.

Mi sono riaddormentata.

Stamattina, al risveglio, ho pensato che è bello quando, di notte, sogniamo di perdere un autobus e finiamo per ricordare che se solo volessimo, se solo avessimo più coraggio e sfrontatezza, se avessimo meno discrezione e ritegno potremmo somigliare un po’ a quella Donna e provare a non perdere quello che vogliamo. Perché mentre noi siamo qui a inviare messaggini su whatsapp Frida ci insegna ad essere indomite, ci insegna che i desideri non vanno decantati mai.

Vanno inseguiti, afferrati.

 

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Due occhi per niente pieni di sé ma PIENI DI TE.


 10 Mag 2016   Scritto da Nunzia

A volte ho bisogno di pensare che sotto questo cielo accadano cose meravigliose, non necessariamente a me o per me: mi basta solo sapere che accadano, che esistano, anche a mille miglia da qui, anche dall’altro lato del Pianeta, anche su pianeti sconosciuti. Ne ho bisogno per credere alla magia di un paio d’occhi che brillano per noi, solo per noi, un paio d’occhi che riconosceremmo tra miliardi di altri occhi, due mani che si incastrano perfettamente solo con le nostre, come se l’universo avesse cospirato da sempre per creare quell’incastro fatto di pelle e cuore. E potrebbe non accadere mai, ne sono consapevole, così come potrebbe accadere di non avere il coraggio di tenersi. La vita mescola le carte ma siamo sempre noi a giocare la partita.

C’è una cosa che mi ha sempre stranito, ovvero “gli amori facili” (non a caso, io scrivo di “amori difficili“), quelli trovati sulla soglia della porta accanto, quelli della comfort-zone. L’amore è una cosa semplice, ma non facile. Quando da adolescente – ma anche oltre l’adolescenza – le mie amiche mi raccontavano i loro folli amori per ragazzi nati e cresciuti nella stessa cerchia di amicizie o nella stessa città ho sempre storto il naso, non per scetticismo ma perché mi sono sempre chiesta come fosse possibile che, se al mondo siamo sette miliardi, ci si possa incontrare ed innamorare entro il recinto della propria aria di influenza. E’ amore o forse ci si convince che sia amore? E se fosse solo amore per un’idea, non per una persona? Sono sempre stata una donna poco accomodante, una di quelle donne che si fanno mille domande e che ne fanno duemila. Una donna che pesa le parole al grammo perché le parole sono quanto di più prezioso possa esistere, bisogna tesserle come fili di seta.

E’ in questa spasmodica ricerca di piccole tracce di magia che, di tanto in tanto, mi imbatto in letture, incontri, video che mi fanno credere che la magia esista, che se una donna elegante vestita di rosso riesce a commuoversi sprofondando nell’abisso di due occhi azzurri, gli occhi del più grande Amore della sua vita, allora un sentimento autentico è qualcosa che va oltre, non risiede nella comfort-zone, non conosce l’abitudine, non risponde alle regole della razionalità.

Due occhi che invitino ad affacciarsi alla vita, è questo che cerchiamo. Due occhi per cui valga la pena correre il rischio di essere felici, due occhi che ci salvino e non abbiano paura di finire nelle nostre parentesi.

Due occhi per niente pieni di sé ma PIENI DI TE.

Quell’unica persona che sappia farci sentire al sicuro come quando da bambini giocavamo a nasconderci sotto una capanna fatta di lenzuola. Quello era il nostro rifugio. Ecco, qualcuno le cui braccia possano essere il nostro rifugio, come sotto quel lenzuolo.

 

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Potessi bastare io


 10 Mag 2016   Scritto da Nunzia

Stasera ho riletto questo passo de “Gli Amori Difficili”, Italo Calvino. Strano pensare che a volte leggiamo distrattamente frasi o libri senza cristallizzarne l’essenza per poi ritornare, dopo mesi o anni, a capire il senso di quelle parole. Loro sono lì, leggere ed impalpabili, e ci aspettano. Si torna sempre dalle parole che ci hanno lasciato qualcosa, sempre, come si torna in un luogo che ci ha abitato o tra le braccia di qualcuno che ci ha fatto sentire a Casa.

“Potremmo essere in giro a passeggiare in una città qualunque, col caldo, mano nella mano e io dovrei accorgermi del tuo sorriso triste e allora darti un bacio o prenderti il viso e farti fare una smorfia che mimi la gioia. Sorrideresti e il mio desiderio di felicità per te sarebbe compiuto. La verità è che i tuoi sorrisi tristi a me piacciono, perché a te stanno bene, perché li sai trattare, li sai adoperare e mettere in fila senza che rompano le righe. Se lo facessi io, sarei penoso.
Questo è il punto: faccio pensieri e desidero cose nuove. Non importa cosa so. Per la prima volta, non importa.
Non so da dove vengano o come si chiamino e non potrei spiegarle a nessuno eccetto te, con un po’ di tempo, con un po’ di pause, con quei silenzi che non saprei riempire, all’inizio.
Ma potrei imparare.
Sono un pessimo romantico, lo ammetto. E’ per questo che non sono riuscito a farti innamorare. Lo so che è così.
Ho immaginato che potessi bastare io, con i miei modi normali e l’aria spavalda. Fintamente sicura. E del tempo, per spiegarti quello che manca, per farti vedere che ne sarebbe valsa la pena, alla fine.
Ho provato, che dire, a farmi scegliere. Ho sperato. Dovevo. Era una possibilità, capisci? Come fare a metterla via, a dimenticarla. Forse aspettando, forse non era il momento. Forse io e te abbiamo un altro tempo. Sono sicuro che con qualche giorno in più, ora in più, ti avrei portato via con me. E’ l’idea che almeno una volta succeda, no? Hai presente? Quell’idea invasiva e sotterranea che si inabissa o si palesa e lo fa una volta sola per tutte e se l’avverti non puoi far finta di niente se hai un po’ di senno.
Come un sibilo fluttuante e sinuoso.
A me è successo questo: non sono riuscito a fare finta di niente, non volevo, in fondo.
Non potevo far altro che cercare di portarti con me, dal profondo, per egoismo quasi, per farmi stare bene. Anche se sapevo di non potere. Anche se era rischioso. Anche se tu non vuoi, anche se, infine, la tua felicità non dipende da me.

E non posso fare a meno di chiedertelo di nuovo. Solo per essere sicuro.
Verresti?”

La presa di coscienza e poi, in ultimo, l’ennesima, vana, domanda retorica. Una serratura in più da chiudere a chiave, in un percorso a ritroso che dalla porta più interna del cuore porta fino alla più esterna, come a riprendersi l’aria dopo un’immersione, come in un vortice gravitazionale spinto dalla forza centripeta. Ma l’amore è incoerente e in quel mare che toglie il fiato ma restituisce la vita vorrà immergersi ancora, a costo di annegarci. “Quando si ama non si perde mai”, canta Fiorella Mannoia; chissà se è vero che non ci sono né vincitori né vinti.


Ho pensato che l’amore renda molto stupidi, vero, ma che sia ancora l’unica cosa per cui valga la pena guardare negli occhi la vita. E se proprio dobbiamo essere stupidi, allora mi piacerebbe tornassimo a regalarci braccialetti di cotone, come quelli che si comprano in spiaggia, legarceli ai polsi come custodi di desideri un po’ umidi e scoloriti, tra Legàmi ed un Lègami.

Lègami, a te.

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